Decisione N. 2280 del 08 marzo 2017 – Mutuo – Estinzione anticipata – In valuta

Decisione N. 2280 del 08 marzo 2017

COLLEGIO DI MILANO 

composto dai signori:

(MI) LAPERTOSA ………… Presidente

(MI) ORLANDI …………….. Membro designato dalla Banca d'Italia

(MI) MINNECI ……………. Membro designato dalla Banca d'Italia

(MI) FERRARI …………….. Membro designato da Associazione rappresentativa degli intermediari

(MI) TINA ……….Membro designato da Associazione rappresentativa dei clienti

Relatore (MI) MINNECI

Nella seduta del 12/07/2016 dopo aver esaminato:

-  il ricorso e la documentazione allegata
-  le controdeduzioni dell’intermediario e la relativa documentazione
-  la relazione della Segreteria tecnica

FATTO 

Parte ricorrente riferisce

i) di essere subentrata, al momento dell’acquisto della prima casa avvenuto in data 9 settembre 2007, in un contratto di mutuo con indicizzazione al franco svizzero (con scadenza fissata il 14 febbraio 2023) collocato dall’intermediario resistente;

ii) di avere ricevuto da quest’ultimo solo il 1 marzo 2013 una informativa relativa alle caratteristiche del mutuo, contenente peraltro espressioni e formule incomprensibili a una persona non addetta ai lavori;

iii) di avere ricevuto sempre dall’intermediario resistente nel marzo 2015 una ulteriore informativa relativa all’apprezzamento del franco svizzero conseguente a decisioni di politica monetaria assunte dalla Svizzera;

iv) di avere richiesto in data 14 aprile 2015 il conteggio per procedere all’eventuale estinzione del mutuo;

v) di avere ricevuto in data 16 aprile 2015 un conteggio in base al quale, per effetto del rischio di indicizzazione di cui alla clausola 9 del contratto, vi sarebbe stato da corrispondere un surplus di Euro 20,132,56 a fronte di un capitale residuo di Euro 47.475,08;

vi) di avere proposto, in data 9 luglio 2015, reclamo nei confronti della banca, chiedendo lo storno dell’intero importo della rivalutazione, al fine di poter esercitare il recesso anticipato con il pagamento del mero residuo capitale;

vii) di avere ricevuto riscontro negativo. Ciò posto, parte ricorrente insiste perché le venga riconosciuto il diritto a recedere dal contratto di finanziamento, senza soggiacere all’applicazione della clausola di indicizzazione.

In sede di controdeduzioni, l’intermediario eccepisce preliminarmente l’incompetenza ratione temporis di questo Collegio arbitrale (l’erogazione del finanziamento risalendo al 2007), nonché l’ammissibilità stessa del ricorso, in quanto preordinato ad ottenere una condanna a un facere specifico (avente ad oggetto la rinegoziazione del prestito). Sotto l’aspetto del merito, osserva che, nel corso del rapporto, parte ricorrente aveva senz’altro avuto modo di approfondire la conoscenza del prodotto attraverso i contatti assunti con il servizio clienti della banca. Aggiunge che, non essendosi perfezionata l’estinzione, la clausola controversa non ha neppure ricevuto applicazione. Chiede pertanto di dichiarare il ricorso inammissibile o in subordine di respingerlo nel merito.

DIRITTO 

La controversia ora in esame impone anzitutto di affrontare l’eccezione preliminare esposta dall’intermediario resistente in relazione alla carenza di competenza temporale dell’Arbitro, posto che il contratto de quo è stato stipulato in periodo antecedente il 1 gennaio 2009.

Orbene, il Collegio osserva come le domande formulate dalla parte ricorrente riguardino i meccanismi operativi del mutuo nel suo dispiegarsi dalla stipula ad oggi, nonché i conteggi di anticipata estinzione del finanziamento di cui si tratta, i quali sono stati predisposti dalla parte resistente a partire dal 2013.

Ne consegue che, trattandosi di operazioni e comportamenti successivi al 1° gennaio 2009, va affermata la competenza temporale del Collegio arbitrale nel conoscere la controversia.
Del pari, si rivela infondata l’ulteriore eccezione volta a far dichiarare irricevibile il ricorso, in quanto diretto ad ottenere la condanna dell’intermediario a un facere specifico (avente ad oggetto la rinegoziazione delle condizioni del finanziamento). Vero è infatti che il petitum di parte ricorrente aspira unicamente a verificare la correttezza della metodologia osservata dall’intermediario in punto di definizione del conteggio effettuato ai fini dell’anticipata estinzione del mutuo.

Passando al profilo del merito, occorre premettere che l’oggetto della controversia attiene alla legittimità della clausola contrattuale di cui all’art. 9 del Contratto che sancisce il meccanismo della doppia conversione nell’ipotesi di estinzione anticipata del mutuo. Orbene, si deve al riguardo constatare che la norma contrattuale in esame prevede, in caso di estinzione anticipata, che l’importo del capitale residuo vada prima convertito in Franchi svizzeri al tasso di cambio convenzionale fissato nel contratto e successivamente riconvertito in Euro al cambio Franco svizzero/Euro rilevato il giorno del rimborso.

In tal modo il cliente dovrebbe subire la doppia alea della duplice conversione del capitale residuo, prima in Franchi svizzeri al tasso convenzionale e, una seconda volta, in Euro al tasso di periodo. Tale previsione pattizia va letta alla luce di quanto più in generale affermato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla validità delle clausole nei contratti unilateralmente predisposti. In merito, si constata come la giurisprudenza di legittimità abbia ripetutamente affermato (confronta ex plurimis Cass. Sez. III, 8 agosto 2011, n. 17351) la necessità che le clausole contrattuali e i comportamenti delle parti contraenti siano conformi alle regole di correttezza, trasparenza ed equità e che la violazione dei suddetti principi comporta la nullità delle clausole contrattuali che non li rispettano.
Non sembra, a questo proposito, che la clausola in esame nell’attuale controversia esponga in maniera sufficientemente trasparente il funzionamento concreto del meccanismo di conversione della valuta estera, né il rapporto tra tale meccanismo e quello prescritto da altre clausole relative all’erogazione del mutuo. Né a sanare tale situazione può contribuire il rilascio di note esplicative successive, peraltro non condivise nella loro interpretazione dalla parte ricorrente. Infatti, come si detto, la clausola contrattuale in discussione si limita a prospettare che gli importi già restituiti o ancora dovuti dal mutuatario siano dapprima convertiti in Franchi svizzeri al “tasso di cambio convenzionale” e l’importo così ottenuto sia poi riconvertito in Euro al tasso di cambio corrente, ma non espone affatto le operazioni aritmetiche che debbano essere eseguite al fine di realizzare tale duplice conversione da una valuta all’altra (e viceversa), né appare sufficientemente chiara, a prescindere dal requisito della buona fede. In altri termini, risulta assai complesso e difficilmente intellegibile comprendere quale impatto concreto il regime di doppia conversione venga a determinare sul capitale a debito, né vi sono ausili documentali ovvero consta in merito una specifica consulenza ed assistenza tali da fare meglio comprendere al cliente aderente l’esatto funzionamento della clausola.

D’altro canto il doppio regime di conversione non è per nulla neutro rispetto ai doveri delle parti e, in particolare, del consumatore che si trova a subirne gli effetti, anche pregiudizievoli, rispetto alle proprie obbligazioni, sub specie di determinazione del debito residuo come risultante dal complesso delle operazioni di riconversione previste. Su questi aspetti ed in relazione alla loro interferenza con il regime dei contratti dei consumatori, come confermato anche da precedenti decisioni di questo Collegio per casi e clausole del tutto analoghi a quelli ora discussi, si è espressa altresì la Corte UE ritenendo inequivocabilmente che una clausola contrattuale può essere valutata come abusiva ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, della medesima direttiva, laddove «malgrado il requisito della buona fede, [determini] un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti derivanti dal contratto». Com’è noto, l’art. 3, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE è stato attuato nell’ordinamento giuridico italiano mediante l’art. 33, 1° comma, cod. cons.. In quanto abusiva (ovvero vessatoria), la clausola contrattuale di cui si tratta è pertanto suscettibile di essere dichiarata ex officio nulla, ai sensi dell’art. 36 del Codice del Consumo (corrispondente all’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE). Parimenti, secondo il menzionato orientamento della Corte Suprema la violazione della fondamentale regola della trasparenza, quindi della obiettivamente agevole comprensibilità, comporta la nullità della clausola.

Ciò posto, è peraltro necessario stabilire quali conseguenze produca nel rapporto contrattuale tra le parti del presente giudizio la nullità della clausola che è stata sopra esaminata, dal momento che il suddetto rapporto deve comunque essere regolato, posta la sua sopravvivenza. Per quanto qui rileva, la menzionata sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea ha così deciso: «L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13 deve essere interpretato nel senso che, [...] ove un contratto concluso tra un professionista e un consumatore non può sussistere dopo l’eliminazione di una clausola abusiva, tale disposizione non osta a una regola di diritto nazionale che permette al giudice nazionale di ovviare alla nullità della suddetta clausola sostituendo a quest’ultima una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva». Peraltro, e sia pure con diverso e specifico riguardo alla manifesta eccessività degli interessi moratori, il Collegio di Coordinamento di questo Arbitro ha chiarito che, tenuto anche conto della Giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, alla nullità di una clausola abusiva ai sensi dell’art. 36 cod. cons. consegue l’applicazione della norma di diritto dispositivo alla quale il predisponente aveva inteso derogare a proprio vantaggio (sentenza n. 3995 del 24 giugno 2014).
Nel caso di specie, l’art. 125-sexies, 1° comma, T.U.B.. (corrispondente all’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE) così statuisce: «Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l’importo dovuto al finanziatore». In armonia con la Corte di Giustizia si pone l’insegnamento della Suprema Corte, secondo cui (confronta Cass. Sez. I 10 settembre 2013, n. 20686) l’accertata nullità della clausola concernente le modalità del calcolo degli interessi non travolge il contratto, ma impone al giudice un nuovo calcolo degli stessi. Anche il caso di specie, così come altre posizioni decise da questo Arbitro in relazione alla medesima clausola oggetto di contestazione (cfr. decisione 5874/2015) va, dunque, deciso alla stregua dei principi sopra esposti.

Ne discende che la controversia troverà la sua soluzione nel dato contrattuale, epurato della clausola nulla la quale limitava il suo effetto alla doppia conversione.
In esito alla richiesta di estinzione anticipata del mutuo, il capitale residuo che il ricorrente dovrà restituire sarà pertanto pari alla differenza tra la somma inizialmente mutuata e l’ammontare complessivo delle quote capitale già restituite, queste ultime calcolate secondo la contrattuale indicizzazione al Franco svizzero, senza praticare però la duplice conversione prevista dalla clausola di cui è stata dichiarata la nullità.

PER QUESTI MOTIVI 

Il Collegio, in accoglimento del ricorso, dichiara che la parte ricorrente ha diritto ad estinguere il finanziamento secondo i criteri indicati in motivazione.
Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di euro 200,00, quale contributo alle spese della procedura, e alla parte ricorrente la somma di euro 20,00 quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso. 

IL PRESIDENTE

Flavio Lapertosa

Dec-20170308-2280